Man Ray, pseudonimo di Emmanuel Radnitzky (Filadelfia 1890 - Parigi 1976), protagonista della mostra in corso a Villa Manin di Passariano.
Chi si presta ad avvicinarsi a questa mostra non può non tener presente la varietà di opere da lui create in seno alle due più grandi correnti artistiche dell'epoca: dadaismo e surrealismo.
Fate
tabula rasa di tutte le vostre conoscenze storico-artistiche, uscite dagli schemi del classicismo europeo, dimenticate di esistere oggi e immergetevi nei primi anni del Novecento: Guglielmo Marconi realizza la prima trasmissione radio transatlantica; nella Carolina si leva in volo il primo aereo a motore, ad opera di Wilbur e Orville Wright; in Italia inizia la produzione della FIAT a Torino; la cinematografia propone quelli che vengono considerati i primi film in senso moderno: "Cabiria" di Giovanni Pastore e "The Birth of a Nation" di David W. Griffith, entrambi di grande successo commerciale.
Sono anni di ricerca, sperimentazione, curiosità, fervento culturale. In questa atmosfera dinamica si colloca la personalità di Man Ray, pittore, fotografo e regista.
La mostra in Villa è ricca, vibrante, non solo di opere (più di 300 esposte), ma anche di proiezione dei suoi cortometraggi sperimentali (curati, in un'apposita sezione, dallo storico del cinema Carlo Montanaro) e di interviste ad amici e colleghi. Non si parla quindi solo dell'artista, ma anche della persona.
Disorientamento e stupore vi accompagnerà lungo tutto il percorso, rispettando, volutamente oppure no, quello che Man Ray ha sempre cercato: la sorpresa.
In quattro capitoli viene raccontata la sua formazione artistica in divenire: da New York all'esperienza parigina, quindi in fuga a Los Angeles durante l'occupazione nazista e di nuovo a Parigi. Nella sua vita compaiono nomi come Marcel Duchamp, Pablo Picasso, Henri Matisse, Giorgio De Chirico, Hans J. Arp, Max Ernst, James Joyce, Ernst Hemingway, Gertrude Stein, Alfred Stieglitz e molti altri. Sarà Stieglitz a introdurre Man Ray alla fotografia e sarà grazie a questo mezzo espressivo che egli riuscirà a mantenersi, arrotondando le entrate dalla vendita delle sue opere, realizzando ritratti di modelle provenienti dall'atelier del famoso sarto parigino Poiret, documentando opere di altri artisti e ritraendoli in scatti immortali.
La fotografia per Man Ray non è solo rappresentazione della realtà, ma ricerca creativa, spirituale e sperimentale. Rayografie, solarizzazioni, sovraimpressioni, una costante perlustrazione, quasi ossessiva, delle infinite possibilità del nuovo mezzo espressivo, inteso come strumento privo di vincoli nel suo utilizzo.
Man Ray non è un fotografo, è un artista e il risultato delle sue espressioni fotografiche nasce da un procedimento artistico che va oltre e supera la semplice fotografia.
"Dipingo quello che non può essere fotografato. Fotografo quello che non voglio dipingere. Dipingo l'invisibile. Fotografo il visibile".
Immaginatevi bambini di fronte a una delle sue celebri opere fotografiche della serie "Les larmes": vedete una donna che piange, i suoi occhi esprimono tristezza e la prima domanda che vi ponete è "perché?" e non "come?"... lo spirito con cui Man Ray vi chiede di guardare le sue opere è il più naturale, il più istintivo, quello non ancora condizionato dalla società e dall'ambiente culturale in cui vivete. Vi viene chiesto di fare un passo indietro e di guardare le opere con gli occhi non ancora abituati alle immagini.
Andate alla mostra in Villa, guardate quello che attira il vostro occhio, la vostra curiosità, non entrate con l'idea di vedere tutto... selezionate, soffermatevi e chiedetevi "perché?"... se poi avete la fortuna di essere accompagnati da un bambino, vi garantisco che dalle sue domande, capirete ancora meglio cos'è il movimento Dada...
"Di sicuro, ci sarà sempre chi guarderà solo la tecnica e si chiederà 'come', mentre altri di natura più curiosa si chiederanno 'perché'".
Il Raggio